I principi costituzionali a tutela dei più fragili sono una conquista relativamente recente. Ottant’anni fa nella Germania di Hitler era in atto lo sterminio dei disabili, in nome di altri principi, quelli dell’eugenetica, largamente condivisi in paesi democratici come gli Stati Uniti, anche se non praticati con le criminali modalità naziste.
L’idea che i disabili siano un peso, una zavorra, un ostacolo, oggi non è dicibile, ma è ancora diffusa.
A volte si manifesta in gesti di piccola ferocia, come l’occupazione dei posti auto riservati agli handicappati, che rivelano una doppia ignoranza: verso il dolore dei titolari di quel posto e verso la fatica che si è fatta per arrivare a stabilire che quel posto è un loro diritto.
Eppure, quale esempio più lampante del dovere della Repubblica di “rimuovere gli ostacoli” che negano il pieno sviluppo della persona umana?
Ludovico, il promotore del Premio Marina Garbesi, condivide con tanti altri cittadini italiani il privilegio di poter ricavare la memoria di quella fatica dalla sua storia familiare. Il nonno materno, Vico Garbesi, e il bisnonno paterno, Armando Businco, erano partigiani. Entrambi impegnati, dal 1943 al 1945, nella Resistenza.
Ecco le loro storie in due schede biografiche elaborate attraverso i ritratti pubblicati sul sito dell’Associazione nazionale partigiani di Imola in occasione del conferimento a Ludovico Bellu della tessera ad honorem dell’ANPI, le informazioni raccolte da Luciano Bergonzini nella sua opera dedicata alla Resistenza a Bologna, consultabile dal sito web dell’Istituto Parri.
Vico Garbesi (Imola, 1 settembre 1920 – 1975). Nato in una famiglia di solide tradizioni anarco-socialiste (un nonno socialista, uno zio anarchico e un altro comunista), crebbe in un ambiente antifascista, frequentando a Conselice, durante le vacanze estive, la bottega di Ennio Cervellati, ex confinato, poi segretario della Federazione provinciale del Partito comunista clandestino, dopo l’8 settembre 1943 tra i principali organizzatori (nome di battaglia “Silvio”) del movimento partigiano in Romagna, quindi commissario politico della 28ª brigata Garibaldi “Mario Gordini”, fino alla liberazione di Ravenna.
Negli anni del liceo strinse amicizia con Francesco Sangiorgi, con Amedeo Tabanelli e, più tardi, con Giovanni Nardi. Giovani studenti che si riunivano nelle rispettive abitazioni o in luoghi verdi per leggere, al riparo da occhi od orecchie indiscreti, libri vietati dal regime e per ragionare su organizzarsi per liberare l’Italia.
A dare forza alla nuova generazione di militanti comunisti imolesi contribuì anche il trentaduenne Egidio Lenci, docente universitario in Tisiologia, primario dell’ospedale di Montecatone con l’incarico di vicedirettore. A lui si unirono due psichiatri di valore in servizio presso l’ospedale Lolli, Spartaco Colombati e Gian Filippo Oggioni (parteciperanno entrambi alla lotta di liberazione a Bologna e negli anni Cinquanta e Sessanta dirigeranno rispettivamente gli ospedali Osservanza e lo stesso Lolli) e il futuro deputato Aldo Cucchi, medaglia d’oro della Resistenza. L’antifascismo del giovane Garbesi fu il frutto degli insegnamenti familiari, dell’ambiente che frequentò, delle conclusioni che trasse dall’osservazione di quanto stava accadendo attorno a lui.
Dal 7 agosto 1942 all’8 settembre 1943 prestò servizio militare a Bologna in artiglieria con il grado di sottotenente. Dopo l’armistizio e il dissolvimento del regio esercito, assieme a Franco Franchini, Elio Gollini e altri entrò nella Guardia nazionale patriottica di Imola, organizzazione impegnata nel recupero delle armi abbandonate dai militari italiani. Successivamente militò nel 3° battaglione della 36ª brigata Garibaldi-Bianconcini (comandato da Carlo Nicoli, il noto capo officina della Cogne e tenente di artiglieria) con funzione di vicecommissario politico, prendendo parte alle epiche battaglie della Bastia e di monte Carnevale.
Armando Businco (Jerzu 1886 – Cagliari 1967). Direttore dell’Istituto di Anatomia patologica dell’Università di Bologna, membro del Partito d’Azione, il 17 agosto 1944 venne prelevato dalle brigate nere insieme ai colleghi Teodoro Posteli e Angelo Novaro, accusato del trafugamento dall’Istituto Galvani della dotazione di radio, sostanza utilizzata nelle cure antitumorali ma anche, in quei mesi, ricercata dagli scienziati del Terzo Reich, ormai prossimo alla catastrofica sconfitta, per la fabbricazione dell’arma che avrebbe avuto il potere di ribaltare le sorti della guerra.
Incarcerato nella casa del fascio di via Manzoni fino al 30 agosto 1944, venne poi condotto nella sede delle SS di via Santa Chiara, ove fu interrogato a lungo e poi trasferito nel carcere di San Giovanni in Monte, ove rimase un mese. Consegnato alle SS, scampò miracolosamente al processo che si concluse con la condanna a morte e la fucilazione di Massenzio Masia, Franco Quadri, Mario Bastia, l’intero vertice bolognese del Partito d’Azione.
Fu internato nel campo di prigionia di Fossoli, principale centro di smistamento dall’Italia verso i lager. Durante il trasferimento in Germania riuscì, assieme a Teodoro Posteli, a fuggire trovando ricovero in una canonica e, poi, nel Bresciano, ospitalità e protezione presso la famiglia dell’imprenditore Carlo Lazzari.
Rientrò a Bologna dopo la Liberazione e, nominato preside della facoltà di Medicina, riprese l’attività di ricerca e di insegnamento. Diede alle stampe una testimonianza dal titolo “Il tributo di sangue per la liberazione dell’Istituto di Anatomia patologica di Bologna”, coronamento della militanza partigiana nell’8ª brigata «Massenzio Masia» di Giustizia e Libertà, riconosciutagli a partire dall’armistizio e fino alla Liberazione.
Il radio venne poi riconsegnato ufficialmente l’8 maggio 1945 al professor Gian Giuseppe Palmieri, direttore dell’Istituto del radio dell’Ospedale Sant’Orsola e padre di Giovanni Battista, nome di battaglia «Gianni», medaglia d’oro al valor militare alla memoria. Studente universitario del 6° anno di Medicina. Il giovane Palmieri aveva lasciato Bologna diretto a Imola per aggregarsi alla 36ª brigata Garibaldi Bianconcini. La sera del 27 settembre, durante una sosta in una casa colonica a Ca’ di Guzzo, la compagnia comandata da Umberto Gaudenzi venne circondata dai tedeschi. Dopo aver resistito per tutta la notte, la mattina i superstiti riuscirono ad aprirsi un varco e a mettersi in salvo. Palmieri, invece, preferì rimanere coi partigiani feriti, che però vennero trucidati. Quando i tedeschi abbandonarono Ca’ di Guzzo, lo portarono con loro, per continuare a fargli curare i loro feriti, poi lo uccisero.
Un altro degli allievi di Armando Businco, lo studente costaricano Carlos Collado Martinez, dopo aver fatto parte come medico della 63ª Brigata Bolero Garibaldi, morì il 10 ottobre 1944, insieme ad altri dodici partigiani, nella strage del Cavalcavia di Casalecchio di Reno, assassinato dai nazisti.